Con questa rubrica vogliamo
intraprendere un viaggio, ripercorrere, andando indietro nel tempo,
l’inizio del nostro venire al mondo attraverso il sapore del
nutrimento, un bisogno vitale complesso, che sin da subito intreccia
la nostra storia a quella dell’altro.
In principio siamo un sogno nutrito
dall’immaginazione di nostra madre, poi siamo dentro il suo corpo
nutriti dalla placenta e quando nasciamo prendiamo concretezza
attraverso i pensieri di nostra madre. Poco per volta da bambino
immaginario diventiamo bambino reale, nostra madre si prende cura di
noi nutrendoci. Incontriamo il seno e attraverso il seno scopriremo
il mondo esterno e nutriremo il mondo interno. Lo svezzamento sarà
una potente separazione e nostro padre giocherà un’importante
funzione nell’accompagnarci in questo passaggio.
Il cibo è, sin dagli albori della
nostra vita, nutrimento per corpo e psiche, è ricerca di sé e
relazione con l’altro.
Per raccontare di questa avventura,
come era sin dall’inizio, teoria ed esperienza saranno espressione
di un’unica tessitura.
Le tessitrici: illustrazioni di
Martina Addabbo, filastrocche di Margherita Restelli, testi di
Olimpia Addabbo.
Latte di mamma
La pancia della
mamma è il mio mondo
Fatto d’acqua,
avvolgente e rotondo
Come sarà la
vita fuori?
Ogni tanto me ne
arrivano i sapori
La mamma
assaggia e anch’io sento
Questo gioco è
un gran divertimento.
Appena nato
cerco la mia stella polare
Punti fermi
nuovi su cui contare
Sa di latte il
mio nuovo mondo
E io lo bevo
tutto, fino in fondo.
Il latte della
mamma sa di tutto l’universo
Ogni giorno
buonissimo e sempre diverso
Più ne bevo e
più ce n’è
Tutto è su
misura per me
Quando ho sete
diventa bibita nettarina
Quando ho fame
mi sazia più della farina.
Ma la cosa più
bella e che mi rincuora di più
Non è il latte,
mamma: sei tu
Il tuo abbraccio
è il mio riparo
Il nutrimento
che fra tutti mi è più caro.
L’abbraccio di latte
In questo nostro primo appuntamento vi
racconteremo una storia. La storia di una nascita avvenuta in una
giornata di tardo autunno, quando i parchi delle città erano coperti
di foglie rosse e gialle eppure il sole si ostinava ad illuminare
intensamente il cielo azzurro. Era una giornata giusta per dare alla
luce e per venire al mondo, poiché…
“Nascere, lasciare il corpo della
madre e cominciare a vivere nel mondo esterno è sia una fine sia un
inizio”.
Isca Salzberger-Wittenberg
La storia di Astrid e Matilde
La bambina dell’autunno nasce una
mattina all’alba da una doppia inaspettata cesura: abbandonare
l’utero materno e venire alla luce tramite un taglio cesareo, per
questo non può essere messa subito sulla pancia della mamma, come la
mamma sognava da sempre. L’ostetrica però poggia la piccola fra il
collo e la spalla della mamma. Passano alcune ore, riuscirà Matilde
a trovare la sua via del latte?
Nel pomeriggio la neonata viene
portata alla mamma, poggiata sulla pancia. La piccola dorme, ma il
suo sonno è come quello dei Masai, un occhio socchiuso come per
avvertire per tempo il pericolo. Viene risvegliata dall’odore del
capezzolo, si trascina verso il seno e apre la bocca, succhia con
avidità, si addormenta. Il colostro ha una sua densità, un colore
ambrato. Dopo poco Astrid ripropone il seno a Matilde che apre la
bocca e succhia, con impegno. Trascorre ancora un po’ di tempo e la
madre offre nuovamente il seno alla piccola che questa volta succhia
con voracità e avidità, picchiettando la testa sul seno, la madre
si spaventa un pochettino ed esclama “perché sei così ingorda
piccolina? Hai tanta fame?”, Astrid non immagina che una
piccolissima neonata abbia tanta forza, ma cerca poi di comprendere
il bisogno della sua piccola e lo esprime con calma, sembra quasi che
Matilde sentendo la voce della madre si senta rassicurata,
riconosciuta, fa uno sforzo per sollevare la nuca e guardare in alto,
ciuccia con vigore e impegno, si addormenta.
Dopo poche ore Matilde si presenta
alla poppata con tenacia e agguerrita, succhia con potenza e alla
fine allunga le manine a tenere stretto il capezzolo, su cui poggia
la guancia e si addormenta. La madre sorride. Matilde pare possedere
gratificata il seno, e volerne stabilire la sua proprietà
difendendolo da possibili attacchi. La suzione stimola la montata
lattea. Matilde ora si sveglia e si avvicina al seno poggiando le
labbra apre la bocca con la forza e l’impeto con cui succhiava il
colostro che era denso, non immagina che sia arrivato il latte, più
fluido e dal getto abbondante, un forte getto di latte la sovrasta,
un sapore nuovo, Matilde si lascia sopraffare da tale abbondanza e
bontà, si addormenta con un sorriso di stupore, gratificata, nel
volto il senso dell’onnipotenza.
“L’esperienza del capezzolo in
bocca di tutte è la più importante: il seno pieno di latte che
sgorga nella bocca del bambino attraverso il capezzolo non è solo
una esperienza sensoriale che crea un legame emotivo con la madre…
è molto di più. È l’espressione primaria dell’istinto della
vita” (Caccia).
Il capezzolo in bocca diventa quindi
il centro su cui tutte le altre esperienze sensuali si innestano
(Bion,1962) che, seppure ancora parziale, è già dotato di una
grande integrazione e di un forte potere di attrazione. Il
seno-capezzolo è il centro gravitazionale dell’esperienza del
neonato e il rapporto alimentare è il terreno di incontro
privilegiato fra mamma e bambino che mette a stretto contatto sia i
loro corpi sia le loro menti. Il seno-capezzolo accende il bambino e
lo chiama alla realtà orientata e concentrata sulla sua attenzione,
lo calma e lo tranquillizza quando è agitato, organizza i suoi ritmi
di vita, modula la sua eccitazione e lo sottopone alle prime
frustrazioni. Attraverso il seno e il latte la madre sostiene
l’istinto di vita del bambino e gli trasmette il significato che
ella dà alla vita e al loro legame. Un rapporto alimentare sereno è
espressione di un buon rapporto fra madre e neonato ed è la base di
uno sviluppo emotivo e mentale equilibrato (Caccia).
Matilde ora si attacca al seno ed esce
un fiotto di latte, un po’ le va di traverso, avverte una
sensazione che la spaventa, si ferma e si allontana piangendo dal
capezzolo ma il latte continua a sgorgare e bagna la sua guancia e
arriva nella sua bocca aperta, Matilde è terrorizzata, vive il seno
come un oggetto persecutore, piange angosciata. Astrid la culla e le
parla, attraverso la rêverie è in contatto con gli stati emotivi
profondi di Matilde, le dice piano e dolcemente “forse ti sei
spaventata piccolina, coraggio coraggio”, le carezza la nuca e la
contiene nell’abbraccio. Matilde smette di piangere, la mamma
delicatamente la poggia nuovamente sul seno e Matilde riprende a
succhiare.
Astrid è una madre sufficientemente
buona (Winnicott) in sintonia con il bambino per l’amore verso di
lui, non nega le ambivalenze, al contrario conosce odio e sentimenti
di aggressività ed è in grado di tollerarli dentro di sé (Bion,
1972) permettendo a Matilde di fare esperienza e a sua volta poter
tollerare gli stati emotivi angosciosi.
Nelle poppate successive, la mamma
propone il seno a Matilde quando si sveglia e ne fa richiesta, non
previene il suo bisogno, ma lo asseconda, lasciando a Matilde
l’illusione di possedere il seno. Talvolta accade che la poppata
arrivi non in corrispondenza del bisogno, la mamma sa tollerare di
non essere perfetta e che Matilde provi una frustrazione. Astrid sa
che non è importante solo che il latte arrivi al momento giusto,
Matilde sente che Astrid trova piacevole il momento
dell’allattamento.
L’incontro tra la bocca del bambino
e il seno materno avviene nella dimensione del tempo. Nel “teatro
della bocca” (Meltzer, 1986) si incontrano o si scontrano due
ritmi, quello del flusso del latte e quello della suzione, del dare
materno e del prendere e ricevere del bambino. La riuscita
dell’adattamento reciproco dei due tempi determinerà una ritmicità
condivisa che procura gioia e benessere a entrambi, madre e figlio.
Quando Matilde si avvicina al seno
della madre, anche quando è molto affamata, prima di succhiare alza
lo sguardo verso il volto della madre, guarda la madre e si lascia
guardare, un battesimo dello sguardo necessario, nella ripetizione,
per sentirsi riconosciuti, nel volto della madre si vede come la
madre la vede, l’amabilità con cui la madre la guarda la fa
sentire amabile.
“Gli occhi della madre
(l’attenzione della
madre) sono come un magnete che tiene insieme il bambino e lo
struttura” (G.Polacco, comunicazione personale da E. Bick, 1971).
Allo stesso modo: “Il volto della
madre è come un prototipo di specchio, nel viso della madre il
bambino vede se stesso, se la madre è depressa o preoccupata, il
bambino vede una faccia” (Winnicott,1971).
“Sono una cosa sola la cura della
madre per il suo bambino e l’alimentazione periodica che si
sviluppa come se fosse un mezzo di comunicazione tra i due, una
canzone senza parole”
(Winnicott).
continua…
Articolo di Olimpia Addabbo
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